Con l’assunzione definitiva della stazione eretta e l’adozione dell’andatura bipede, data la particolare altezza del baricentro e l’esiguità dell’area di sostegno del corpo umano, si rende indispensabile, da parte dell’uomo, un raffinato controllo della gravità, in quanto il fattore di instabilità tende a crescere con forte rischio per la sopravvivenza. L’uomo, in altri termini, più che ogni altro essere vivente, è esposto alle insidie di un precario equilibrio ed il suo piede deve specializzarsi per diventare l’arma antigravitaria per eccellenza. Infatti Paparella Treccia definisce il piede come la porta d’ingresso degli stimoli del senso gravitario e, di conseguenza, può essere considerato come un dispositivo per la formulazione della risposta motoria, ovvero una struttura spaziale variabile che sta alla base del meccanismo antigravitario (Paparella Treccia, 1978, 16).
Alla luce di queste considerazioni, il piede presenta una duplice veste: quella di sede di persistente lavoro evolutivo e quella di anello di congiunzione tra forze ambientali (gravità) e forze interne che vi si oppongono (antigravitarietà).
Riguardo l’origine del piede terrestre, oggetto di studio di moltissimi biologi, antropologi, zoologi ed anatomici, sono state sviluppate diverse ipotesi, ma la teoria a tutt’oggi considerata più valida, confermata anche dalla maggior parte dei ricercatori, è quella detta “dell’archipterigio”, proposta dall’anatomico bavarese Carl Gegenbaur (1826 – 1903) (Grundzüge der vergleichenden Anatomie, 1874), secondo la quale gli arti dei tetrapodi derivano dagli archi branchiali dei pesci cartilaginei.
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